“Il mondo fuori dalla finestra andava avanti con la solita frenesia di sempre. Ogni respiro che il cuore emetteva annebbiava per un’istante quella vista; l’illusione che i dettagli confusi potessero alterare la realtà le dava conforto.
Le dita non smettevano di giocare con quella ciocca di capelli ribelli che, vicino all’orecchio, formavano un piccolo boccolo malizioso.
Una macchia di rossetto baciò la tazzina fumante di caffè e lei si accorse che il tram 4, quello che porta verso il Parco dello Scoiattolo, stava frenando col solito rumore da dinosauro nevrotico e automaticamente seppe che ore erano: le 10.
Viveva da poco in quella città ma già aveva imparato a riconoscerne gli odori e la quotidianità proprio a partire dai mezzi che, per motivi di lavoro, era costretta a prendere. Non le dispiaceva la cosa – anche se in inverno, quando faceva freddo, avrebbe preferito di più il calduccio di una bella automobile, con la radio a palla. La stessa radio che le faceva sempre compagnia in ogni momento della giornata, e che un poco l’aiutava a sopportare la nostalgia che mangiava le sue giornate.
Non si trovava bene in quella città, inutile negare la verità. Troppe facciate ampollose, troppe strade segnate dai binari ma, soprattutto, troppo poco cielo da guardare e dal quale farsi abbracciare.
Sospirò e il fiato fece sbocciare un fiore opaco sul vetro. Un gesto veloce e deciso della mano, dal basso verso l’alto, lo cancellò e lei voltò le spalle, allontanandosi.
Il mondo fuori dalla finestra andava avanti con la solita frenesia di sempre. Ogni respiro che il cuore emetteva annebbiava per un’istante quella vista; l’illusione che i dettagli confusi potessero alterare la realtà le dava conforto.
Le dita non smettevano di giocare con quella ciocca di capelli ribelli che, vicino all’orecchio, formavano un piccolo boccolo malizioso.
Una macchia di rossetto baciò la tazzina fumante di caffè e lei si accorse che il tram 4, quello che porta verso il Parco dello Scoiattolo, stava frenando col solito rumore da dinosauro nevrotico e automaticamente seppe che ore erano: le 10.
Viveva da poco in quella città ma già aveva imparato a riconoscerne gli odori e la quotidianità proprio a partire dai mezzi che, per motivi di lavoro, era costretta a prendere. Non le dispiaceva la cosa – anche se in inverno, quando faceva freddo, avrebbe preferito di più il calduccio di una bella automobile, con la radio a palla. La stessa radio che le faceva sempre compagnia in ogni momento della giornata, e che un poco l’aiutava a sopportare la nostalgia che mangiava le sue giornate.
Non si trovava bene in quella città, inutile negare la verità. Troppe facciate ampollose, troppe strade segnate dai binari ma, soprattutto, troppo poco cielo da guardare e dal quale farsi abbracciare.
Sospirò e il fiato fece sbocciare un fiore opaco sul vetro. Un gesto veloce e deciso della mano, dal basso verso l’alto, lo cancellò e lei voltò le spalle, allontanandosi.”
tratto da IL BOCCOLO RIBELLE, di Ketty D’Amico